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domenica 14 febbraio 2016

Tre destini (pericolosi) per l'Italia del dopo elezioni

Riprendo nel febbraio 2016 questo articolo che, nonostante gli anni, risulta ancora attuale. Mancanza di programmazione, prospettive e concretezza. Una "sinistra" che anestetizza la massa con leggi non urgenti e tralascia quel che serve ovvero riduzione delle tasse alle imprese, ai cittadini ed una pulizia (snellimento) della macchina burocratica.

Buona ri-lettura

In un mondo globalizzato anche un commento proveniente dalla lontana (sarà vero?) Cina pone alcuni dubbi e preoccupazioni su quello che potrà essere lo scenario politico del dopo elezioni.

L'articolo pubblicato su ilsussidiario.net a firma Liao Xi fa una disamina della campagna elettorale, della personalità e carisma dei contendenti ma, soprattutto, di cosa non è stato detto e quali argomenti sono stati, più o meno intenzionalmente, dimenticati.

Personalmente ritengo che la campagna elettorale debba essere fatta su argomenti concreti, primariamente sulle cose che possono migliorare la vita del cittadino, raggiungibili con un percorso trasparente e chiaro. In seconda battuta devono essere affrontati tutti quegli argomenti legati alla convivenza internazionale e quindi arrivare ad avere la giusta forza per farsi ascoltare in ambito continentale e mondiale.

In questo secondo punto non abbiamo potuto fare molto, quasi nulla, fin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in quanto, prima con gli USA per bilanciare l'avanzata dell'URSS poi con tutte le campagne giornalistiche interne ed internazionali orchestrate da una sinistra incapace di andare a governare stabilmente, prima con asservimento e poi con volontà di sovvertire il voto legittimo degli italiani ci siamo allegramente "sputtanati" a livello europeo e globale.

Winston Churchill diceva che eravamo il "ventre molle d'Europa", ora sarebbe il caso di fare qualche addominale e metterci a dieta perché ci servirà forza, orgoglio e sacrificio per venir fuori da una situazione grave come l'attuale. Servirà una gigantesca quantità di autocritica e umiltà da parte di tutta la classe politica e di tutti i movimenti appena nati perché tutti, e sottolineo tutti, hanno approfittato del sistema malato che ora vogliono far crollare.

Chi andrà al governo dovrà, necessariamente ed obbligatoriamente, anteporre il cittadino all'interesse di partito e personale.. Se questo non avverrà la Grecia sarà uno scherzo.

Vi lascio alla lettura dell'articolo di Liao Xi, fai click su questo link

lunedì 23 maggio 2011

Facebook come strumento per valutare i risultati delle elezioni


Con l’ultima tornata elettorale si è consolidata la presenza dei politici su Facebook anche a livello locale (con i problemi di comunicazione che tutti abbiamo potuto notare) e si è aperta una vera e propria gara all’ultimo Like.

Proprio il Like è divenuto lo strumento di misurazione del Laboratorio di ricerca e comunicazione avanzata dell’Università di Urbino Carlo Bo, che dal 25 Aprile 2011 ha catalogato quelli rivolti alle pagine dei candidati sindaco nei 29 comuni capoluogo di provincia dove si è votato il 15 e 16 Maggio (solo un comune non aveva candidati con pagine Facebook), al fine di verificare la congruenza tra notorietà su Facebook e voti ricevuti.

Il calcolo degli scarti

Gli scarti sono stati calcolati mettendo a confronto le percentuali di Likes riportate da ciascun candidato (fatto cento il numero totale di Likes riportato da tutte le pagine Facebook dei candidati di un dato comune. Ovviamente non tutti i candidati erano presenti su Facebook con una propria pagina) e la percentuale di voti validi ottenuti (dati del sito del Ministero degli Interni e della Regione Friuli Venezia Giulia per Trieste).

Nonostante uno scarto abbastanza alto per variabili che potete approfondire qui,

Nel 39% dei casi il candidato che era primo su Facebook ha effettivamente vinto le elezioni raccogliendo il maggior numero di voti. Nel 43% dei casi il candidato risultato primo su Facebook è invece arrivato secondo alle elezioni. In altre parole il candidato sindaco che raccoglie il maggior consenso su Facebook ha oltre l’80% di possibilità di diventare sindaco o di arrivare secondo nella competizione elettorale.

Nel 21% dei casi il candidato secondo classificato su Facebook ha vinto la competizione elettorale e nel 10% dei casi il candidato secondo classificato su Facebook si è effettivamente piazzato secondo.

Tutti i risultati sono in questo file su Google Spreadsheet.

Il futuro

Queste analisi, prese con poca serietà, potrebbero lasciare il tempo che trovano, ma sono fondamentali per capire i cambiamenti futuri della nostra società, per dare alla politica una faccia diversa e più moderna e per avere una nuova tipologia di sondaggio.

Altra considerazione va fatta su ciò che Facebook sta diventando, cioè un vero e proprio database sociale analizzando il quale si possono comprendere molteplici tendenze, capire cosa è In e cosa è Out, applicare un controllo globale con un solo click (ed un po’ di script).

Per vedere i grafici relativi ai candidati sindaci delle principali città clicca qui

Fonte: José Gragnaniello - Socialmediamarketing.it

La Sussidiarietà solidale: la terza via per scegliere chi votare


Fonte: Giorgio Vittadini - IlSussidiario.net

Mentre continua il tentativo di rovesciare il governo per via extraparlamentare, come se certa stampa e certa magistratura esprimessero la volontà popolare, chi è chiamato a governare, invece di farlo con serietà, preferisce attizzare, insieme a un’opposizione rissosa, un clima di scontro continuo. Il risultato è che anche il senso delle prossime consultazioni elettorali viene stravolto, mentre sembra che un’azione politica consista nell’operare, più o meno ideologicamente, una scelta di campo tra schieramenti, a prescindere da come vengono trattati i contenuti. Invece, anche nella prossima tornata elettorale, proprio sui contenuti si giocano concezioni contrapposte che determinano pesantemente la nostra vita quotidiana.
Come recita un recente volantino della Cdo, il bene per tutti e per ciascuno si costruisce facendo delle nostre città luoghi per una convivenza fra persone libere e interessate al bene comune, alla ricerca della giustizia e della bellezza, aperta alla solidarietà e alla carità. Per questo, continua la Cdo, le sfide sono enormi: migliorare i servizi alla persona basandoli, laddove è possibile, sulla libertà di iniziativa e di scelta; saper rispondere ai bisogni dei meno abbienti e dei malati; riequilibrare aree produttive, abitative (tante case sfitte e mancanza di abitazioni per giovani, anziani, studenti, meno abbienti), e aree verdi fruibili (non un verde frazionato in piccole inutili aiuole); garantire trasporti senza inquinamento; garantire servizi di buona qualità e a un prezzo non esoso a riguardo di gas, acqua, energia, raccolta rifiuti; garantire servizi educativi, ricreativi, sportivi; difendere e promuovere cultura e arte che tanta importanza hanno nelle nostre città, non solo per scopi turistici. La sfida è immane, in un momento in cui il federalismo fiscale municipale dovrebbe costringere i comuni a diminuire i loro sprechi.
Gli orientamenti ideali con cui vengono operate le scelte sono sinteticamente tre. Il primo è il vecchio statalismo, che per qualcuno sembra non tramontare mai, e per qualcun altro pare rappresentare la possibilità di un nuovo potere locale.

Secondo questa impostazione, l’amministrazione pubblica dovrebbe, da sola, rispondere a tutti i bisogni di ordine pubblico, gestendo direttamente ogni servizio di cui ha responsabilità, mentre ogni intervento privato o di realtà sociali viene bollato come fonte di distorsione dei fondi pubblici e contro l’interesse della gente, soprattutto povera. Il regime statalista vigente nel nostro Paese da decenni ha invece prodotto deficit di bilancio ormai non più sostenibili, inefficienza e scarsa qualità dei servizi, sacche di rendita e strapotere di politici tanto pieni di promesse, quanto incapaci di far fronte ai compiti cui sono chiamati.
Il secondo orientamento è quello della privatizzazione selvaggia, che vede nelle mere dinamiche di mercato le forze capaci di dare risposta ai problemi. Tale impostazione non considera il fallimento delle prime privatizzazioni nel nostro Paese (bipartisan!), la responsabilità di queste idee nella crisi finanziaria degli ultimi anni e, soprattutto, che certi beni sociali non possono essere amministrati massimizzando un utile d’impresa da dividere fra gli azionisti.
Un terzo ordine di criteri con cui gestire la “cosa pubblica” è quella della sussidiarietà solidale, che comporta un’alleanza tra ente pubblico, privati e realtà sociali e sottolinea la valorizzazione dell’iniziativa operosa di tutti per il bene comune. Questa è la strada che ha permesso nei secoli, ad esempio a Milano, uno sviluppo diffuso, attraverso l’accoglienza di immigrati da tutto il mondo, che hanno saputo integrarsi e diventare milanesi. Nel capoluogo lombardo - che vale come esempio di un modello vigente in molte altre città e paesi italiani - in epoche diverse, realtà di privato sociale non a fine di lucro come la Ca’ Granda (Ospedale Maggiore), la Banca Popolare di Milano, la Cassa di Risparmio delle Province Lombarde, l’Umanitaria, le Società di mutuo soccorso, il Don Gnocchi, oppure realtà culturali nate non pubbliche come la Scala o il Piccolo Teatro, realtà universitarie come la Bocconi o la Cattolica, si sono affiancate agli imprenditori “storici” che hanno fatto le grandi imprese milanesi.

Oggi, nuove realtà di doposcuola gratuito come ad esempio quello delle suorine dell’Assunzione di Martinengo o Portofranco, di aiuto agli extracomunitari come la Casa della Carità, di nuova formazione professionale libera come la Galdus, di supporto ai lavoratori precari come la recente FeLSA Cisl e i suoi patronati, di aiuto ai meno abbienti, come la rinnovata rete della Caritas e i Banchi alimentare, informatico, farmaceutico, di somministrazione di cure palliative come la Fondazione Floriani o la Maddalena Grassi, permettono quella solidarietà nella sussidiarietà senza cui ci sarebbe molta più ingiustizia.
La rete di ospedali privati e privati non profit, insieme agli ospedali pubblici, grazie anche alla libertà di scegliere dove curarsi, fa sì che gli utenti esercitino il diritto alla salute con risposte di livello internazionale e senza lunghe attese. Le numerose associazioni di categoria e sindacali supportano le miriadi di piccoli e medi imprenditori, che nel declino della grande impresa, hanno consentito un diverso sviluppo che non avesse conseguenze negative per l’occupazione.