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lunedì 30 maggio 2011

Perché il web allunga la vita alla buona informazione

Alla domanda se il web nel suo insieme ha “compresso” l’industria dei giornali, la prima risposta, d’acchito, potrebbe essere:  «Si». Lo stesso accadde con la radio negli anni 20 e 30 e con la tv negli anni 6o. Ma i giornali sopravvissero a quelle offensive e hanno poi avuto stagioni di grande successo economico e di straordinario peso socio-politico.
Porre cosi la questione significa ragionare per schemi superati. La seconda risposta, più meditata, è: «Forse». Ma probabilmente la più giusta è: «No». Perché i giornali si caratterizzano ormai solo parzialmente
Per la piattaforma cartacea, mentre la loro forza sta nella qualità dei contenuti prodotti, nella credibilità, nella trasmissione - informando – di un messaggio omogeneo che corrisponde alla lettura della società e della realtà che ci circonda. E nella capacità di innovare.
Inoltre il web non è un medium come la radio o la tv, è un “sistema" o un “universo digitale" che contiene e
riassume gli altri media compresi i giornali. Internet non e quindi un ulteriore canale di distribuzione. Internet offre una grande opportunità al giornalismo, purché gli editori e gli altri operatori dell’informazione pensino non a distribuire attraverso la rete i contenuti che già hanno "in pancia" ma piuttosto reinventino prodotti e servizi che coprono i bisogni di un pubblico molto più vasto che vive, lavora, comunica sulla rete.
Immutato e anzi crescente è, per questo pubblico, il bisogno di informazione, Tutto il resto cambia: bisogni e abitudini, formati e linguaggi, modelli di business, piattaforme di distribuzione, Questa grande opportunità – come accade in altri settori dei servizi sul web: si pensi ai motori di ricerca e ai social network – potrà probabilmente essere colta da pochi soggetti. Il fattore di scala sarà importantissimo. Quindi, siamo di fronte opportunità senza precedenti peri "dominanti" come il New York Times o anche, su scala diversa, la Repubblica, Tutto questo però accade mentre i publisher operano sui mercati tradizionali in rapido declino. Questo implica che i gruppi editoriali debbano saper aprire nuovi business facendo leva sui propri asset (i brand prima di tutto) in condizioni di risorse non crescenti, con l’obbligo di continuare a sostenere attività più che mature e intraprendere, nel frattempo, attività del tutto nuove per i nuovi prodotti e
Business Una sfida entusiasmante che si vince solo con la qualità delle persone e del loro prodotto.

Fonte: Carlo De Benedetti - Il Sole 24 Ore

sabato 21 maggio 2011

Il giornalismo nell’era di Twitter



Fonte: Il Tagliaerbe - Tagliablog

Da quando ho iniziato a lavorare in Sky News nel 2009, ho fatto il produttore e il vice-caporedattore su un’ampia gamma di notizie nazionali e estere. Entrambi i ruoli necessitano di tutte le competenze del giornalismo tradizionale: capacità di scovare le notizie, martellare al telefono, bussare alle porte e parlare con la gente.

Tuttavia, col passare del tempo, il lavoro di giornalista ha significato adeguarsi all’emergere dei “nuovi media”, e in particolare dei social media. All’inizio il mio uso dei social media era limitato a postare foto che facevo la notte su Facebook; Twitter non era all’interno del mio “radar”. 5 anni più tardi le cose sono cambiate radicalmente. Twitter è diventato una parte fondamentale del mio lavoro (e le mie impostazioni della privacy su Facebook sono ora molto, molto più restrittive).

Lavorare presso la redazione di una testata di news internazionali comporta il monitoraggio, filtraggio e gestione delle priorità di una grande quantità di informazioni. Devi spaziare fra flussi di immagini, di notizie, di email e ovviamente di report che i tuoi giornalisti inviano dal campo. I social media hanno aggiunto una nuova dimensione a quello che faccio.

Trovo che Twitter sia come un flusso di lanci d’agenzia, con la differenza che ora posso interagire con questi. Ho trovato dei benefici nell’interazione e nel diventare noto come uno che posta velocemente delle breaking news: ora i miei follower sono diventati per me un nuovo servizio cruciale. Mi capita spesso di ricevere dei tweet del tipo “hai visto questo?” o “controlla la timeline”, e questa interazione si è rivelata preziosa, portandomi ad essere in prima linea su diverse notizie di un certo spessore.

Interagisco e monitoro costantemente su Twitter più di 2.000 fonti, oltre a una serie di liste, e ciò non è facile, ma non c’è altra scelta se voglio lavorare in questo ruolo e in questo settore nel 21° secolo.

Twitter mi fornisce tutto, dalle piccole dritte alle dichiarazioni ufficiali, la maggior parte delle quali arrivano su Twitter prima che altrove. Non c’è dubbio che Twitter è al momento il modo più veloce per pubblicare e diffondere informazioni. Tuttavia io non mi definirei un social media journalist, e non credo che i social media siano l’unico futuro delle notizie.

La natura dei social media è di diffondere notizie rapidamente, ma anche di fare da cassa di risonanza al rumore. Un recente tweet sulla morte di Margaret Thatcher è solo uno dei tanti esempi di falsa diceria che si è diffusa a macchia d’olio. La cosa interessante è che, quando questi rumor esplodono, la gente guarda ai vecchi giornalisti per conoscere i fatti.

In definitiva, siamo ad un punto in cui i giornalisti han bisogno dei social media tanto quanto i social media han bisogno dei giornalisti. Le persone vogliono notizie in tempo reale, ma vogliono anche sapere cos’è vero e cos’è falso. I giorni un cui un giornalista era solo dentro uno schermo TV, una voce alla radio, o il nome su una pagina, sono finiti: ora dobbiamo essere parte della conversazione.

Liberamente tradotto da The new journalism is working with 2,000 sources, di Neal Mann.

sabato 31 luglio 2010

Articoli e informazione... da giornalisti a giornalai e ritorno...


Premessa. E' da gennaio che sto facendo un lavoro che non avevo mai fatto prima ovvero leggere, raccogliere informazioni e cercare di dare loro un senso per poi pubblicarle sul sito di una Onlus, fondamentale nel panorama italiano, ben conosciuta dagli addetti ai lavori, ma quasi sconosciuta al grande pubblico.

Tante volte mi limito a recuperare dalla rassegna stampa i ritagli più significativi e li pubblico così come inserisco nella biblioteca i libri e le ricerche dei principali istituti italiani ed europei. Da neofita, con voglia di imparare, ho iniziato a frequentare i social e, in modo naturale e spontaneo, ho fatto una selezione di utilità per poter far conoscere il messaggio della mia realtà quotidiana.

Facebook come via per lanciare notizie e chiacchierare con qualche (assai pochi) utente durante la giornata, Twitter per noi è piccolo e lo uso solo per diffusione e poi c'è Meemi.com che mi ha aperto gli occhi e il mondo con i suoi personaggi veramente fantastici. Parlo con blogger competenti, persone affascinanti per la loro storia e il contributo che danno all'informazione in generale, soprattutto per la pazienza che hanno nel rispondere alle mie domande da niubbo di prima categoria, e qui mi aggancio al titolo.

Facendo tutto questo e frequentando certi social sono venuto a conoscenza di una cosa che mi ha sconvolto ovvero la mancanza di professionalità da parte di alcuni nel proporre, a prezzi ridicoli, la scrittura di articoli anche su argomenti professionali di un certo spessore.
La proliferazione di siti generalisti, dove si parla di tutto e di più, dove si cerca di arrivare in cima alle liste dei motori di ricerca, ha abbassato il livello dell'informazione in modo drammatico. Forse Google (se non ho capito male) fa bene a ragionare in ottica di concretezza e reputazione, in questo modo si potranno sfrondare tutti quei siti che promettono miracoli ma poi ti lasciano con un pugno di mosche.

Personalmente ritengo che se si vuole scrivere di teconologia si deve conoscere molto bene l'argomento perché ti rivolgi ad un pubblico competente e ci vuole poco per rovinarsi la reputazione e quindi sparire.

La causa scatenante di questo fiume di parole? Molto semplice... Non sopporto l'approssimazione nel dare le notizie da parte di giornalisti che recensiscono libri oppure che vogliono parlare di argomenti molto specifici.

Purtroppo l'errore lo vedo io che conosco la storia, perché la vivo e quindi noto subito che una realtà come la Onlus per la quale mi impegno non potrebbe sopravvivere e far sopravvivere 1.300.000 persone con solo 9000 tonnellate di cibo ALL'ANNO. Quelle 9.000 tonnellate vengono raccolte in un solo giorno grazie allo sforzo di 5.000.000 di donatori e oltre 110.000 volontari che su oltre 8.000 punti vendita in Italia danno il loro contributo per aiutare chi non riesce a comprarsi il necessario per mangiare.

Ma allora cosa e quanto raccogliamo durante l'anno? Comprese quelle 9.000 tonnellate arriviamo a poco meno di 80.000 ma stiamo crescendo. Non mi sembra un brutto numero, anzi. Ma questo lo so io, lo sanno coloro che collaborano con noi e chi ci aiuta nelle ricerche, dovrebbero saperlo i giornalisti che potrebbero aiutarci nel diffondere il messaggio per noi ma anche per altri.

L'ultima notizia che ho pubblicato riguarda un accordo raggiunto in Lombardia con una nota catena di super-ipermercati. Avevo poche righe che spiegavano, in sintesi l'accaduto, e dovevo dare un senso a tutto. Ho cercato i dati sui personaggi coinvolti, ho alzato la cornetta del telefono e ho parlato con i colleghi presenti e ho fatto le mie poche righe. Non credo ci voglia una scienza. Il problema è che sono pochi, purtroppo, quelli che si rendono realmente conto del peso delle parole che pubblicano sulla Rete. Non si rendono conto che possono creare dei danni e, peggio del peggio, non si rendono conto che quello che scrivono resterà all'interno della Rete stessa per sempre (date voi un limite al sempre).

La mia famiglia e poi i lavori che ho fatto fino ad ora mi hanno insegnato una cosa... Fare tanto per fare non mi porta vantaggi anzi, mi fa passare come un superficiale e poco professionale. Forse aveva ragione Gianfranco Funari.... La maggior parte di quelli che una volta erano Giornalisti sono andati in pensione oppure morti. Ora sono rimasti solo dei giornalai, con tutto il rispetto per la categoria.

Sicuramente una speranza c'è e la intravedo... Ci sono le nuove leve, coloro che hanno iniziato a scrivere prima sul PC che sulla carta. Coloro che hanno capito come funziona la Rete e posso vantarmi di averli come amici all'interno della Rete stessa.

Dopo l'incendio la foresta ricresce, sempre, più forte e rigogliosa.