Alla domanda se il web nel suo insieme ha “compresso” l’industria dei giornali, la prima risposta, d’acchito, potrebbe essere: «Si». Lo stesso accadde con la radio negli anni 20 e 30 e con la tv negli anni 6o. Ma i giornali sopravvissero a quelle offensive e hanno poi avuto stagioni di grande successo economico e di straordinario peso socio-politico.
Porre cosi la questione significa ragionare per schemi superati. La seconda risposta, più meditata, è: «Forse». Ma probabilmente la più giusta è: «No». Perché i giornali si caratterizzano ormai solo parzialmente
Per la piattaforma cartacea, mentre la loro forza sta nella qualità dei contenuti prodotti, nella credibilità, nella trasmissione - informando – di un messaggio omogeneo che corrisponde alla lettura della società e della realtà che ci circonda. E nella capacità di innovare.
Inoltre il web non è un medium come la radio o la tv, è un “sistema" o un “universo digitale" che contiene e
riassume gli altri media compresi i giornali. Internet non e quindi un ulteriore canale di distribuzione. Internet offre una grande opportunità al giornalismo, purché gli editori e gli altri operatori dell’informazione pensino non a distribuire attraverso la rete i contenuti che già hanno "in pancia" ma piuttosto reinventino prodotti e servizi che coprono i bisogni di un pubblico molto più vasto che vive, lavora, comunica sulla rete.
Immutato e anzi crescente è, per questo pubblico, il bisogno di informazione, Tutto il resto cambia: bisogni e abitudini, formati e linguaggi, modelli di business, piattaforme di distribuzione, Questa grande opportunità – come accade in altri settori dei servizi sul web: si pensi ai motori di ricerca e ai social network – potrà probabilmente essere colta da pochi soggetti. Il fattore di scala sarà importantissimo. Quindi, siamo di fronte opportunità senza precedenti peri "dominanti" come il New York Times o anche, su scala diversa, la Repubblica, Tutto questo però accade mentre i publisher operano sui mercati tradizionali in rapido declino. Questo implica che i gruppi editoriali debbano saper aprire nuovi business facendo leva sui propri asset (i brand prima di tutto) in condizioni di risorse non crescenti, con l’obbligo di continuare a sostenere attività più che mature e intraprendere, nel frattempo, attività del tutto nuove per i nuovi prodotti e
Business Una sfida entusiasmante che si vince solo con la qualità delle persone e del loro prodotto.
Fonte: Carlo De Benedetti - Il Sole 24 Ore
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