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venerdì 27 gennaio 2012

Lavoro. Curriculum vitae ormai obsoleto?


Come al solito gli americani provano a stupirci oppure cercano di sfruttare al meglio la tecnologia anche per valutare un potenziale candidato? Stando a quanto trovato in Rete, la web reputation sta iniziando ad acquisire una rilevanza fondamentale per la valutazione di candidati a posti di lavoro così come test attitudinali fatti in Rete, dove conta essere smart e sfruttare al massimo le proprie capacità piuttosto che nascondersi dietro titoli e pezzi di carta.


Vi lascio a questa interessante lettura così da approfondire meglio l'argomento.


[...] Tempi duri per chi cerca lavoro oggi. Oltre alla crisi, ci si mettono anche le aziende, a cui il curriculum vitae tradizionale pare non basti più per valutare l’idoneità di un candidato.
Recentemente l’azienda statunitense Union Square Ventures, agli aspiranti analisti finanziari che avevano fatto domanda di assunzione, ha chiesto di inviare i link ai loro blog e alla loro pagina Twitter anziché mandare il classico cv.  Segno evidente che i selezionatori erano più interessati alla reputazione della persona in rete che alle sue esperienze professionali e al suo passato accademico. I link alle pagine personali online dovevano poi essere correlati di un video in cui gli interessati erano tenuti spiegare i motivi per cui avrebbero voluto essere assunti. [...] 


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Fonte: Libero - Tutto sul Lavoro

venerdì 3 giugno 2011

Internet = Social. E' questa la causa di uno scarso rendimento lavorativo?

Una nuova ricerca proposta dalla harmon.ie ha coinvolto 515 lavoratori per scoprire come viene utilizzato il tempo durante la giornata lavorativa. Il monitoraggio ha dato risultati interessanti riguardo la quantità di tempo utilizzato per la gestione di tutta la Reste Social alla quale sono collegati.
Un nuovo contributo del Tagliaerbe. Da non perdere.


Lavoro poco? Tutta colpa di Internet (e dei Social)


Un recente studio di harmon.ie, condotto su 515 lavoratori statunitensi in ambito IT, ha messo il luce l’impatto “distrattivo” che Internet e i social media hanno durante la giornata lavorativa.
I risultati sono riassumibili in questa immagine:

Cose che distraggono maggiormente al lavoro



Più in dettaglio:

• La maggioranza (57%) delle interruzioni coinvolge sia gli strumenti di collaborazione che quelli sociali, come email, social network, messaggi testuali e IM, nonché il passare da una finestra all’altra fra vari tool e applicazioni. Il 45% dei dipendenti lavora solo 15 minuti o meno senza essere interrotto, e il 53% perde almeno 1 ora al giorno a causa di distrazioni varie.

• 1 ora al giorno si traduce in 10.375 dollari di produttività persa nel corso dell’anno, ipotizzando uno stipendio medio di 30 dollari l’ora; in pratica costa più del possesso e della manutenzione di un’auto nel corso di anno (almeno in base ai dati dell’AAA, l’Automobile Association of America). Significa che per una azienda con 1.000 dipendenti il costo è superiore a 10 milioni di dollari l’anno, ed è ancora più elevato in termini di impatto negativo su produzione e qualità del lavoro, e relazioni con clienti e colleghi.

• La dipendenza sempre più comune nei confronti di attività basate sul web – che gli psicologi chiamano “online compulsive disorder” – è diffusa in tutti i luoghi di lavoro. Per esempio, 2 persone su 3 preferiscono di gran lunga comunicare digitalmente piuttosto che incontrarsi faccia a faccia. La dipendenza fa parte anche della vita privata delle persone: la maggior parte degli under 40 si connette digitalmente dal letto, e il 44% degli under 30 si connette quando è al cinema.

• 2/3 delle aziende e degli utenti tecnologici stanno cercando strumenti e strategie per ridurre al minimo le distrazioni digitali, mostrando che c’è comprensione circa la necessità di ripristinare la produttività persa a causa di un cattivo uso di queste nuove tecnologie.

• L’uso contemporaneo di applicazioni/finestre/schede/elementi sul desktop contribuisce alla distrazione, insieme all’utilizzo di più dispositivi allo stesso tempo. Il 45% degli intervistati tiene almeno 6 elementi aperti simultaneamente, e il 65% dice di usare da 1 a 3 dispositivi fissi o mobili contemporaneamente, in aggiunta al computer principale.

• E’ infine disponibile anche un’infografica che sintetizza tutti i dati dello studio:

Infografica del Distraction Survey Results di harmon.ie

mercoledì 1 giugno 2011

IL CASO/ 2. Quel vento dell’Asia che porta crescita e lavoro

Fonte: Giuseppe Sabella, Luigi Degan - IlSussidiario.net



Il rapporto Istat presentato il 23 maggio scorso rivela che circa un quarto degli italiani vive a rischio di povertà o di esclusione sociale. Stiamo parlando di 15 milioni di persone, il 24,7% della popolazione, a fronte del 23,1% della media Ue. E nel Sud Italia l’area dell’indigenza supera il 30%. Le difficoltà dell’Italia sono strutturali e di lungo periodo, solo lo stock di ricchezza accumulato nei decenni precedenti ci ha evitato guai peggiori. Tra il 2001 e il 2010 l’Italia ha realizzato infatti “la performance di crescita peggiore d’Europa”, con un tasso di aumento annuo del Pil dello 0,2% a fronte dell’1,3% dell’Ue.
Sono sufficienti questi dati per capire come l’Italia non brilli per sviluppo economico, ma del resto nemmeno il Vecchio Continente. È ormai chiaro agli stessi esperti che le cause della crisi vanno ricercate in un’economia che ha perso i suoi veri valori, che è arrivata a concepire se stessa come mero business, finendo con lo svuotare di anima e progettualità ciò che si chiama “impresa” e rivoltandosi contro se stessa.
La povertà non è una condizione naturale insuperabile, ma una situazione transitoria, che si può sconfiggere. A dimostrarlo sono i successi registrati nelle ultime due decadi dall’Asia, il continente dove si è assistito alla più significativa riduzione di questa grave piaga planetaria. Secondo i dati della Banca Mondiale, nel mondo la percentuale di persone che vive al di sotto della soglia di povertà di 1,52 dollari al giorno è passata dal 52% del 1981 al 25% del 2005, con una diminuzione consistente in Cina, in India e nel Sud Est Asiatico. Numeri che da soli rendono evidenti le buone possibilità di riuscita degli sforzi intrapresi nella lotta contro l’indigenza cronica.
Il convegno “Impresa familiare, economie di mercato e povertà: la trasformazione dell’Asia”, tenutosi a Roma a metà maggio e organizzato dalla sede romana dell’Acton Institute, think tank statunitense fondato nel 1990 da Padre Robert Sirico, ha fornito l’occasione per esaminare le condizioni della crescita economica delle nazioni del continente asiatico e i suoi legami con la liberalizzazione, lo stato di diritto, la famiglia e le tradizioni culturali. [...]

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IL CASO/ I "rischi" del nuovo contratto che vuol unire lavoro e giovani

Fonte: Carlo Alberto Nicolini - IlSussidiario.net




L’attuazione della delega legislativa in materia di apprendistato, già istituita dalla legge n. 247 del 2007, i cui termini sono stati prorogati dalla legge n. 183 del 2010 (c.d. “collegato lavoro”), dovrebbe consentire una complessiva sistemazione della disciplina di quello che va considerato uno dei più importanti strumenti giuridici volti a favorire l’occupazione giovanile. Lo schema di decreto legislativo, approvato nei giorni scorsi dal Consiglio dei ministri, merita dunque tutta l’attenzione.
Il provvedimento conferma la tripartizione delle figure contrattuali, già introdotta dalla riforma Biagi del 2003, riproponendo, innanzitutto, l’apprendistato professionalizzante, che costituisce la tipologia di gran lunga più utilizzata, e affiancandogli i contratti “per la qualifica professionale” e “di alta formazione e ricerca”, che sostituiscono, rispettivamente, quelli “per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione” e “per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione”.
Netta è la volontà del legislatore delegato di proseguire nel percorso di rafforzamento del ruolo della contrattazione collettiva, che a tutti i livelli, compreso quello aziendale, è dichiarata competente, per disciplinare i contenuti di tali contratti, pur nel rispetto di alcuni vincoli e principi di legge (quali, ad esempio, quelli in materia di età, forma scritta, limitazione alla flessibilità retributiva, discipline del recesso), per i quali il provvedimento solo in parte ripete la disciplina previgente, non mancando di inserire novità o di fornire importanti chiarimenti. Ad esempio, finalmente si chiarisce (con importanti implicazioni, al fine della definizione del regime applicabile al recesso) che quello di apprendistato non è un contratto a termine, bensì a tempo indeterminato.
In questa sede, però, interessa soprattutto evidenziare come si confermi e rafforzi il ruolo della contrattazione, soprattutto nella definizione della durata, dei contenuti e delle modalità di erogazione della formazione nel contratto di apprendistato “professionalizzante”. La questione è di notevole interesse, in quanto gran parte del contenzioso in materia si gioca proprio sugli obblighi di formazione, la cui violazione, anche dopo il varo del provvedimento, continuerà a legittimare il lavoratore a reclamare cospicue differenze retributive e risarcimenti danni, gli enti previdenziali a recuperare la differenza tra i contributi pagati in regime agevolato e quelli “pieni” dovuti per i lavoratori qualificati, aumentata del 100%, e gli ispettorati del lavoro a irrogare pesanti sanzioni amministrative. [...]

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giovedì 26 maggio 2011

5 a 2 ovvero cinque nuovi posti per 2 cancellati. Questo è Internet

Riprendo un articolo apparso su Il Corriere della Sera del 24.05.2011 a firma Massimo Sideri e rilanciato in Rete da tanti altri appassionati. Nella speranza di non annoiarvi vi lascio alla lettura di questo pezzo.

Un risultato l’e-G8 parigino lo ha già portato a casa: per la prima volta, grazie a uno studio commissionato a McKinsey che sarà reso pubblico oggi e che il Corriere ha potuto analizzare in anticipo, è stato misurato l’impatto di internet sul Prodotto interno lordo globale. Considerando gli otto Grandi oltre a Cina, India, Brasile, Svezia e Corea del Sud (pari al 70%circa dell’economia mondiale), internet ha prodotto nel 2009 1.376 miliardi di dollari, pari al 3,4%del Pil dei 13 Paesi. Utilizzando inoltre le stime di penetrazione del digitale anche nel resto del mondo il risultato sale a 1.672 miliardi (2,9%della ricchezza mondiale prodotta nello stesso anno). «La consideriamo un’importante quantificazione di quanto pesi internet guardando insieme ai consumi privati, agli investimenti privati, alla spesa pubblica e alla bilancia commerciale» spiega Guido Frisiani, direttore McKinsey ed esperto di internet e media per il Mediterraneo. Il risultato più sorprendente è quello della Svezia, un caso scuola che i rappresentanti del settore pubblico e del settore privato italiani dovrebbero andare a studiare da vicino. Il paese scandinavo con il 6,3%del Pil digitale nel 2009, pur non avendo aziende come Google, Apple o Microsoft, ha superato di gran lunga il 3,8%degli Usa. Stoccolma 1, Silicon Valley 0. L’Italia, di contro, non brilla con un 1,7%. Il gap rimane ampio. Nel G8 solo la Russia fa peggio. La Svezia è importante perché il risultato è stato ottenuto grazie al contributo pubblico. «Il fenomeno svedese — spiega Frisiani — è stato catalizzato dallo Stato ma non in termini di spesa (solo il 10%del 6,3%è stato spinto dalla spesa pubblica, con un peso percentualmente inferiore al 17%sul totale della voce pubblica italiana, ndr). Il governo ha saputo spingere internet portandolo nelle scuole, insegnando l’economia digitale alle aziende con meno di dieci dipendenti, costruendo una broadband capillare. Anche i servizi di e-government sono stati importanti» , ma il punto è che non si tratta di fare pagare Pantalone. Tra i risultati ottenuti grazie alle 4.800 interviste fatte in Europa, ce ne sono almeno due che sfatano dei miti importanti: è vero che l’economia digitale sta distruggendo posti di lavoro? No: per la prima volta McKinsey è riuscita a misurare l’impatto netto del conflitto in atto tra vecchie e nuove forze dell’industria. Per ogni posto di lavoro effettivamente perso Internet ne produce 2,5. Cinque posti nuovi per ogni due persi. È il dilemma della Emi: alla crisi della musica tradizionale fa da contraltare la creazione di nuovi posti di lavoro sempre nella musica ma in altre società come la Apple. «Non è un passaggio privo di ripercussioni sociali, ma il saldo netto è positivo» conclude Frisiani. Altro mito da smontare: il web produce ricchezza per i player della Silicon Valley e dell’information technology in generale. Anche qui i numeri sono altri: solo un quarto di questa ricchezza digitale attiene al settore. Mentre i tre quarti riguardano quelli tradizionali. Un dato confermato, da un diverso punto di vista, anche dal fatto che le piccole e medie aziende che hanno creduto nel web hanno raddoppiato la crescita. Micro-investimenti che ripagano gli imprenditori più dinamici, perché internet è soprattutto una
questione di mentalità e cultura.





Fonte: Massimo Sideri - Corriere della Sera del 24.05.2011

venerdì 30 luglio 2010

Sono alieno, ora ne ho le prove

Almeno lo sono per una parte di coloro che collaborano con me. Se arriva una mail, in risposta ad una nostra precedente, piena di livore e accidenti... Per farla breve una sequela di insulti che farebbe impallidire un portuale ligure, tu dell'ufficio che hai mandato la mail cosa faresti? Io farei così:

1 - Prenderei la mail, me la leggerei con calma valutando anche il livello culturale di chi ha scritto
2 - preaprerei una prima risposta per cercare di tranquillizzarlo e magari farei leggere il tutto al diretto superiore per tranquillità
3 - Poi alzo il telefono e chiamo la causa del problema e vedrei di trovare una soluzione, nei limiti del possibile
4 - Faccio una seconda mail dando indicazioni al soggetto "inca... volato" per risolvere la sua situazione.
In ogni caso mi metterei in prima fila per risolvere la cosa...

Sono alieno, non ho una cultura terrestre al riguardo.

La risposta è stata semplice e disarmante... Non devo farlo io, non è il mio lavoro, passo tutto alla Direzione e poi sono affari suoi gestirselo. Come se non fosse già stra oberata di lavoro e impegni...
Con tutto il rispetto per gli impiegati del Catasto ma io non sono così. Quando capiranno che tutti comunichiamo l'immagine dell'azienda in qualsiasi momento della nostra giornata e in qualsiasi contatto interpersonale.

Cacchio non ci vuole una scienza...

Forse sono così perché per anni ho lavorato nel commercio per conto e poi, sotto lo stesso marchio, per me stesso. La cura del cliente era fondamentale...
Pensare che ho lavorato così male che ho ancora clienti che dicono ai miei ex colleghi di salutarmi e si informano su quello che faccio e come sto. A distanza di anni, cavolo! Queste si che sono soddisfazioni ma come non sopporto certe cose.

Ora credo di aver capito perché sono alieno... Credo in quello che faccio, credo nell'azienda per la quale sto lavorando, credo si possa migliorarla con uno sforzo minimo DI TUTTI!

Ora è meglio che mi dia una calmata, ne va della mia salute ma oggi il mio oroscopo aveva detto di fare attenzione all'ipocrisia e voltafaccia che mi circondano.

"Improvvisare, adattarsi, raggiungere lo scopo" ... Un poco Gunny e tanto Indiana Jones con un pizzico di Mel Gibson in versione "Die Hard"