venerdì 3 giugno 2011

Captologia: tecnologia e psicologia unite al servizio della pace nell’era dei social media.

Articolo estremamente interessante che unisce diverse discipline e tocca anche il marketing e i social media. Corredato di video è certamente utile conoscerne i contenuti. Buona lettura.

Captologia: tecnologia e psicologia unite al servizio della pace nell’era dei social media.


Fonte: Josè Gragnaniello - Socialmediamarketing.it

La persuasione attuata dalla tecnologia è qualcosa di cui forse neanche ci rendiamo conto, attività che diventano routine quotidiana sono evidentemente frutto di questa persuasione ed anche le nostre azioni sui social media hanno un movente “captologico”.
Marco Bi, laureato in psicologia della comunicazione alla Bicocca di Milano si è preso il nobile incarico di introdurci alla Captologia ed ai pericoli e le potenzialità che questa materia può avere.

Ci siamo! La riunione più importante della tua carriera è arrivata. E la sveglia non ha suonato.
Fai una doccia rapidissima, ti vesti in tempo record, per la colazione non c’è tempo, prendi i documenti
più importanti e ti tuffi in macchina. Appena partito senti quel suono ripetitivo e sai esattamente cosa vuol dire, allora ti metti la cintura di sicurezza sapendo che potrebbe salvarti la vita.
Questo è il fatto, la tua macchina ti ha convinto a fare qualcosa! Sono molte le macchine con cui ci confrontiamo ogni giorno e molte di queste possono persuaderti a fare qualcosa. Questa è l’idea che sta dietro allacaptologia, una scienza nata negli anni novanta che studia il rapporto tra tecnologia interattiva e persuasione.
Il suo ideatore B.J. Fogg, docente di Persuasive Technology alla Stanford University, ha coniato il termine unendo l’acronimo “Computers As Persuasive Technologies” con il latino “captum” (“preso” ndr).
Questa materia tratta la progettazione, la ricerca e l’analisi di computers con una forte natura interattiva, studiando il modo in cui reagisce l’utente, trattandolo non solo come semplici strumenti ma anche come media e attori sociali. Così facendo si scoprono le peculiarità che una macchina deve avere per influenzarne il comportamento, caratteristiche che verranno tenute in considerazione per lo sviluppo delle versioni successive.
Oltre al contributo della Computer Technology c’è quello della psicologia.
Il più importante è il “rinforzo positivo” ovvero il premio che ottiene un soggetto quando compie un comportamento che vogliamo ripeta. Questo piccolo guadagno scatena nell’utente una gratificazione che verrà successivamente cercata di nuovo ripetendo il comportamento che l’ha provocata la prima volta.
In realtà la captologia non si esaurisce in questo, infatti B.J. Fogg analizza anche aspetti meno tecnici e più motivazionali che la tecnologia sotto esame deve avere come credibilità, autorevolezza e simpatia cercando di fornire indicazioni per far si che la tecnologia abbia una maggiore possibilità di persuadere.
Nel caso dei social network il fatto che le informazioni derivino da account di persone reali che conosciamo, e spesso stimiamo o di cui ci fidiamo, fa si che vengano considerate molto più di altre derivanti da fonti incerte e con meno credibilità.
Osservare questa scienza, alla luce del mare di tecnologie in cui noi tutti siamo immersi al giorno d’oggi, ci fa capire quanto possa essere cruciale questa disciplina per chi si occupa di comunicazione e pubblicità. Si pensi al Web 2.0, alle migliaia di interfacce che utilizziamo quotidianamente, ai social network e ai cellulari, sempre più dei computers portatili che, entro 10 o 15 anni secondo lo scienziato, diventeranno il principale strumento di persuasione.
Tutti i concetti della captologia possono essere applicati anche ai social media essendo essi delle “macchine” con le quali le persone interagiscono.
Per far si che ciò avvenga ci vogliono tre condizioni:
  • una motivazione che spinga l’utente,
  • la capacità di agire (se nessuno sa come condividere un elemento su Facebook nessuno lo farà),
  • la possibilità di mettere in atto il comportamento tipicamente rappresentata dalla presenza di bottoni che permettano il compiersi dell’azione.
Una volta creata questa situazione il gioco è fatto. La vera difficoltà risiede nel creare queste tre condizioni: infatti se abbiamo bisogno di diffondere un idea su un social network dobbiamo fornire una motivazione valida che scateni spontaneamente nelle persone il desiderio di farsi portavoce dell’idea stessa magari facendo si che essi guadagnino in reputazione per aver appoggiato un pensiero vincente o quantomeno allettante, dobbiamo fare in modo che la piattaforma permetta questa diffusione progettandola inserendo gli strumenti necessari ed eliminando le possibili “barriere architettoniche” in modo che il pensiero possa essere condiviso facilmente (semplificando ci vogliono il bottone condividi, la possibilità di taggare o mandare messaggi, ecc…). Infine, bisogna far si che gli utenti imparino a usare le tecnologie necessarie disegnandole in modo da avere un uso marcatamente intuitivo.
La credibilità della fonte dell’informazione e la natura autoreferenziale di questi sistemi faranno il resto. Le applicazioni della captologia sono infinite, vanno dalla correzione di comportamenti dannosi e al miglioramento delle interfacce fino alla pubblicità e l’orientamento dei comportamenti di consumo. Come sempre quando si ha a che fare con i processi persuasivi il marketing ne approfitta e, ovviamente, ci si confronta con delle questioni etiche non di poco conto.
La captologia, facendo leva su meccanismi iperappresi e fortemente interiorizzati, ha un potere pericoloso in quanto può guidare le scelte delle persone in maniera più o meno inconscia alterando, se non limitando, la libertà dei soggetti.
A queste problematiche B.J. Fogg risponde, secondo alcuni in modo ingenuo, affidandosi all’innata bontà dell’uomo, contando sul fatto che ognuno di noi è regolato da un insieme di valori che non gli consentiranno di sfruttare questi meccanismi per scopi ingiusti, e afferma che bastano poche conoscenze, che devono essere accessibili a tutti, per tutelarsi da questo potere.
Lo scienziato non solo ridimensiona il pericolo della sua scienza ma ne sottolinea il valore positivo affermando che questa, unita alla diffusione di tecnologie interattive e all’indole buona dell’uomo, possa portare alla pace nel mondo entro i prossimi trent’anni. Questo nobile pensiero, per la prima volta nella storia delle utopie, è bastato su principi scientifici piuttosto che le semplici buone intenzioni e per questo vale la pena dargli tanto credito quanto ne daremmo alle conquiste della nostra cultura.

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